Il pane

La superficie del pane è meravigliosa innanzi tutto per questa impressione quasi panoramica che dà: come se sottomano si avessero a disposizione le Alpi, il Tauro o la Cordigliera delle Ande.

Così dunque una massa amorfa in eruzione fu fatta scivolare per noi nel forno stellare, ove indurendosi si è plasmata in valli, creste, ondulazioni, crepacci… E tutti quei piani subito così schiettamente articolati, quelle lastre sottili ove la luce con impegno distende i suoi fuochi, – senza uno sguardo per la mollezza ignobile che sta sotto.

Quel fiacco e freddo sottosuolo che si chiama mollica ha il tessuto simile a quello delle spugne: foglie o fiori vi stanno saldati gomito a gomito tutti assieme come sorelle siamesi. Quando il pane diventa raffermo quei fiori appassiscono e si contraggono: allora si staccano gli uni dagli altri e la massa diventa friabile…

Ma spezziamola: ché il pane nella nostra bocca deve essere piuttosto oggetto di consumo che di riguardo.

(Francis Ponge)

Da:

3041612

Scalo dei fiorentini

Li ho visti tutti. Sedevano

(le gambe penzoloni)

sulla spalletta. C’era

Otello, il Decio, il Rosso,

l’Olandese. Il Vigevano.

C’erano altri… i nomi

li ha con sé il vento. Tenevano

le mani sotto le cosce

e tacevano. Gialla,

o verde, o d’altra

tinta (anche i colori

li prende il vento), avevano

la maglia da barcaiolo

di sempre. Erano

in fila, tutti

in fila, sul muricciolo,

proprio come facevano

ogni sera, quando

– animato il Voltone

di voci che si spandevano

trasparenti (di bimbi

in fuga dietro il pallone

o il cerchio) – sputavano

la sigaretta, e schioccando

le dita, ohei, che gridi

(da levare la pelle:

ma ci stavano, quelle)

lanciavano alle ragazze

che a nuvoli, dal Cantiere Orlando,

verso casa sciamavano.Continua a leggere…

Odio l’olio

Non proprio un ricordo qualunque d’infanzia, ma il ricordo primo e primario, quello da dichiarare subito allo psicanalista, dovessi intraprendere mai un’analisi freudiana: troppo cara, troppo lunga, troppo infìda. Tutt’altro che immobile, sono sul seggiolone della casa dove ho abitato per mezzo secolo e più – via Salvioli 21, angolo Circonvallazione Sud, prima periferia di Modena – avrò forse due anni, al massimo tre. Inverno e luce bassissima, come sanno esser fioche solo le luci negli appartamenti piccoloborghesi dei tardi anni Cinquanta: voltaggio a 125, come una cilindrata scarsa. Sono affamato, addirittura famelico, all’ora giusta della cena, ogni sera fra le otto e le otto e mezzo: alla faccia dei dietologi, l’unico pasto da affrontare a tutta. Augusta Galli, mia nonna e cuoca in assoluto preferita, nonostante i decenni di ristoranti talvolta stellati che ho frequentato dopo, mi piazza davanti il piatto di un’appetitosa e fumante minestra, puntine in brodo con un uovo sbattuto dentro e un fegatino di pollo tagliato a pezzetti. Sto per avventarmi, il cucchiaio impugnato a mo’ di clava (nessuno purtroppo è stato abbastanza severo con me da impartirmi una vera educazione formale, tantomeno a tavola), aiutato nel gesto impetuoso da qualche altro familiare alle spalle. La nonna si avvicina dal lato opposto, tiene in mano una lattina verde e riempie un altro cucchiaio d’un liquido denso e giallastro: l’olio Sasso prodotto fin da fine Ottocento dalla famiglia dei fratelli Novaro, due discreti poeti liguri. Continua a leggere…

Una mattina solenne

Un bambino esce da un cancello una mattina solenne

e vede che inizia l’estate, la strada vuota.

Il negozio non è ancora aperto, tutto vacilla.

 

Arranca sulla bicicletta e indugia. Silenzio.

Ora la brezza più lieve soffia e fa tremar le foglie.

Allora lui dimentica e ci prova. Qualcosa glielo rende facile, ecco!

 

E per la prima volta sa cos’è andare in bicicletta:

che è libertà, la più bianca di tutte, ed è là,

e qualcosa di vuoto e felice gli riempie i polmoni e gli sale dentro

 

finché scoppia in una lunga risata, solo, nel suo vuoto mattino,

e si dirige svelto, tacendo, col suo segreto lontano da noi.

 

(Lars Gustafsson)