Apprendistati

Era cromata e nera la bicicletta,
aveva un fiocco grande sul volante tutto intorno
il Natale e le ruote generose
come sembrava il mondo

Io, il giorno dopo,
non sapevo andare dritta,
accanto papà mi teneva il sellino,
la sua mano: filo a piombo acceso,
accesa fiducia

Poi, la sua voce affannata
per la stanchezza pura della corsa,
mentre cercava d’armonizzare la bicicletta

Oggi, dopo molti anni di gesti paralleli,
su altre strade con mia figlia,
la mia mano corregge la deviazione di ruote più moderne,
capisco finalmente l’emozione che sentivo
nella voce interrotta di mio padre:

la paura che io cadessi,
anche sapendo che le cadute erano brevi,
ma soprattutto la tenerezza di vedermi lì,
mentre entravo nel mondo dei grandi,
in equilibrio debole,
accanto all’uscita circolare dall’infanzia

(Ana Luísa Amaral)

Amaral

Parole contro le parole

Oggi, non voglio far della poesia,
non voglio stare chiuso contro un tavolo.
Voglio prender la porta, andare via
andarmene, se càpita, anche al diavolo!
In un giorno di ciel, d’aria e di sole
posso seduto, fabbricar parole?

Io, come il vecchio Amleto, sono stufo
di parole, parole, ancor parole!
Fra tanti pappagalli, sono un gufo
e disdegno le chiacchiere e le fole.
Se si parlasse meno, quanto il mondo
più felice sarebbe, e più fecondo!

Abbasso i versi e chi li legge e scrive!
Primavera s’annuncia, e vo’ pei campi
a veder in che modo si rivive
senza bisogno alcun che se ne stampi,
o ne filosofeggino due o tre
sui sedili dei tram, e nei caffè!

Senza soccorso di poeti e sofi
le siepi vanno rimettendo il verde!
Su per le aiuole crescono i carciofi,
e l’asparago inver nulla ci perde
se vien fuori, a dispetto della critica,
senza affatto occuparsi di politica.

E così fa la mammola, e fa l’erba,
il pero, il melo, il mandorlo, il ciliegio
che una veste di fiori hanno, e superba,
e daran frutto, senza ciarle, egregio.
Se facessimo un poco come loro:
chiacchiere niente, e alquanto più lavoro?

(Ernesto Ragazzoni)

VotPerot

Il suo nome era Giulio, ma dal primo di luglio voleva essere chiamato VotPerot. Ragazzo prodigio laureato alla Bocconi a 21 anni e tagliatore di teste fino a 30. Svizzera, Stati Uniti, Canada e Sud Africa, sempre connesso e sempre reperibile con coca e troie a gogò. In perfetta buona fede, come gli avevano insegnato, era convinto che ristrutturare e licenziare significasse salvare il salvabile, ma non ci aveva messo molto a capire che doveva “coprire” i bilanci taroccati e compilare liste di epurazione. I professori idioti della Bocconi non gli avevano insegnato questo… praticamente in prima elementare ti insegnano che 1+1=2, alla Bocconi che 1 miliardo di miliardi di miliardi + 1 miliardo di miliardi di miliardi è uguale a 2 miliardi di miliardi di miliardi, ma niente di più. Proprio degli idioti con il master e gli editoriali sul Corsera. All’improvviso iniziò a ricordarsi tutti i volti delle persone a cui aveva tolto il lavoro, uno per uno, con nomi e cognomi. Alla sera prima di andare a letto, invece delle pecore, contava gli epurati: Abot, Adden, Bernasconi, Blisser, Cantù, e così via, e finché non finiva non si addormentava, e questo significava addormentarsi, quando andava bene, alle quattro del mattino e, ad ogni ristrutturazione, sempre più tardi. Tutte le notti così e tutti i giorni sempre più stanco. Un giorno lo hanno trovato imbambolato in macchina nel parcheggio di una ditta da ristrutturare in Sud Africa che cantava “e se domani… e sottolineo se…” e, dopo un mese, licenziato con buonuscita. Era tornato a casa e, per sua fortuna e dopo qualche mese di riposo e cure, nella ditta di famiglia poteva occuparsi del magazzino nel senso che caricava e scaricava le scatole degli ordini. Una mattina, il primo luglio a colazione, disse ai suoi genitori: “D’ora in avanti chiamatemi VotPerot”. Sua madre lo guardò e gli chiese: “Perché?” Lui rispose: “Sessantaquater”.

(Angelo D’Adda)

D'Adda FOTO

Super Rimbaud

Provvedemmo per tempo (pilotati da un insolito sospetto nei confronti dell’autorità) e sanammo, sanammo i debiti che al tempo della grande carestia furono accumulati ai bordi delle strade. Non ci restò che camminare sulle acque dell’Ebro e aspettare che Super Rimbaud venisse a salvarci, quando le rondini sui cavi della tensione organizzarono la loro fuga verso il sole, in un cancan di cinguettii e proiettili di carta non autorizzati dalle Convenzioni di Ginevra (1882). Qualcuno di noi barattò allora la propria letteratura per quindici secondi di salvezza; qualcun altro denigrò le proprie origini e diede in pasto ai burocrati la lingua della madre; io mi finsi malato e rifiutai il sostegno della comunità. Verrà l’ora in cui dovremo esporci, mugghiò il più giovane di noi, colui che ancora non aveva goduto dell’orrore delle oasi, l’unico, fra noi, che ancora si chiedesse a chi fosse destinata la stella che nessuno vide cadere mai.

(Nicola Scinetti)