Andando una volta frate Ginepro a Roma, dove la fama della sua santitade era già divolgata, molti romani per grande divozione li andarono incontra; e frate Ginepro, vedendo tanta gente venire, immaginossi di far la loro divozione venire in favola e in truffa.
Erano ivi due fanciulli che faceano all’altalena, cioè ch’aveano traversato uno legno in su uno altro legno, e ciascuno istava dal suo capo, e andavano in su e in giù. Va frate Ginepro e rimuove uno di questi fanciulli dal legno e montavi su egli e incomincia ad altalenare. Intanto giugne la gente, e maravigliavansi dell’altalenare di frate Ginepro; nondimeno con grande divozione lo salutavano e aspettavano che compiesse il giuoco per accompagnarlo onorevolmente insino al convento. E frate Ginepro di loro salutazione o riverenza o aspettare poco si curava, ma molto sollicitava l’altalenare. E così aspettando per grande ispazio, ad alquanti incominciò a tediare e a dire: – Che pecorone è costui? –; alquanti cognoscendo le sue condizioni, sì crebbono in maggiore divozione: nondimeno tutti si partirono e lasciarono frate Ginepro in sull’altalena.
Ed essendo tutti partiti, frate Ginepro rimase tutto consolato, però che vide alquanti che aveano fatto beffe di lui. Muovesi ed entra in Roma con ogni mansuetudine e umilitade, e pervenne al convento de’ frati Minori.
A laude di Iesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.
(da “La vita di frate Ginepro”)