Time hovers o’er, impatient to destroy,
And shuts up all the passages of joy.
(Samuel Johnson – The Vanity of Human Wishes)
And voices singing out of empty cisterns and exhausted wells.
(Thomas Stearns Eliot – The Waste Land)
Due giovani vennero a fare l’amore qui, accanto a me. Forse in mezzo al quel grano in erba si sentivano troppo esposti e invece io li proteggevo, o almeno gli davo quell’impressione. Cominciarono con un bacio. Lui aveva le spalle schiacciate contro il mio scheletro di cemento. E lei che lo spingeva, con un fare dolcemente violento. Poi si buttarono giù, lì a pochi centimetri dai miei piedi. Si mangiavano l’un l’altra: la carne e l’anima. Era un aprile crudele, lo ricordo, di una primavera selvaggia, come lo sono tutte le primavere. Una musica di abbracci mi allietava quel pomeriggio soffiato da una lenta brezza calda. Li osservai a lungo: la luce della loro pelle, lo splendore dei sorrisi e, soprattutto, le parole, il fiume di parole improvvisate che poi erano un unico silenzio, un unico mistero. Insulti dorati rivelavano il desiderio, e poi le espressioni amorose di tutti i tempi e di tutte le lingue, ripetute eppure nuove, vecchie eppure inaudite.
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