Sono una poetessa timida. Mi piace il silenzio. Arrossisco spesso. Non ho una grande opinione di me. Mi piacciono le tane. Vivo in città ma come un eremita.
Molti anni fa avevo scritto una raccolta di poesie “Bevendo il tè con i morti” e dopo un paio di tentativi falliti di pubblicarlo, avevo smesso subito. Però piaceva tanto alle amiche e agli amici. Perché parlava dei morti con confidenza, con premura. In realtà, parlava di incontri, incontri sottili.
Un giorno, Simonetta Ferrante mi ha detto: “Perché non provi con la mia amica Vanna Massarotti? Ha una sua casa editrice. È una che s’intende di poesia, ha lavorato tutta la vita nell’editoria e poi è franca e ti dice subito sì o no”. E ci sono andata.
Era il 2005 o il 2006, boh! il libro era più vecchio ma avevo aggiunto poesie recenti, la raccolta piccolina “Madre eretica”. Quel giorno, pioveva, forte. Salita al settimo piano, ho suonato. È venuta ad aprire una signora minuscola ma robusta, con i capelli bianchi. Gocciolavo pioggia. “Non vorrà mica bagnare dappertutto, vero?” mi fa. Allora, mi sono tolta scarpe, cappello e impermeabile sul pianerottolo e sono entrata in calzini, pensando: “Cominciamo bene”.
Sedute in salotto, Vanna mi ha detto: “Sì, Simonetta mi ha parlato di lei, ma ho poco tempo, se pretende che legga subito…”.
A me le persone brusche e dirette non fanno paura. So che non verrò manipolata, so che ci si incontra in campo aperto, nobilmente, faccia al vento, esposizione massima. E così le ho detto: “Senta un po’, io posso pure andarmene, sa? Non sono una che va a caccia di pubblicazioni a tutti i costi. Non sa neanche come scrivo!” Allora si è addolcita, ha detto: “Ma no, ma no, mi lasci il manoscritto e poi vediamo”. E si è messa a parlare di poesia e di autori, come un orso abituato a essere accarezzato contropelo che incontra un altro orso che gli gratta la schiena nella direzione giusta.
Dopo due mesi, suona il telefono. “Sono Vanna Massarotti”. “Ah, buongiorno!”. “Le telefono perché il libro mi è piaciuto”. Silenzio. Allora, lei spaventata forse di essersi sbilanciata troppo: “Però se ha fretta vada da un altro editore, qui si aspetta con calma. Facciamo tra due anni?”
In realtà è uscito nel 2007.
Abbiamo deciso insieme la copertina, la grafica, rivisto le bozze, mai uno screzio, mai uno sgambetto, tutto pane al pane. Io, lei e la grande delicatissima Tiziana.
Sempre rimasta brusca Vanna ma con un amore per me trovato poche volte. Venuta a tutte le presentazioni a Milano con le sue stampelle, con l’equilibrio sempre più precario. Già alla seconda volta raccontava tutta la sua vita e i suoi malanni seri, non lamenti da signorinelle. Una volta, è arrivato un suo nipote e lei mi ha presentato così: “Questa è una poetessa bravissima”. Sono uscita quasi alta, io che sono 1 metro e 52.
Ci siamo volute bene, io che pratico la Via buddhista le dicevo: “Vanna non so pregare, ma ti dedico le meditazioni, ti mando il bene come posso”. “Sì sì tu manda, che io ricevo”.
Quando era all’hospice non sono riuscita ad andare a salutarla, avevo un fratello ammalato e un altro addio sarebbe stato troppo. Dopo due mesi dalla sua morte, mio fratello è finito nello stesso hospice e allora ho chiesto alla dottoressa: “Ma lei ha conosciuto Vanna Massarotti?”. “Ma certo! Quella signora piena di libri! Me ne ha regalati parecchi”. “Io sono un suo libro!” le ho detto io radiosa. È rimasta un po’ perplessa, di matto c’era già mio fratello, ma mi sembra che da quel momento mi abbia trattato con grazia. Sono un libro di Vanna Massarotti, che diamine.
Quando hanno chiuso la casa editrice, i suoi parenti mi hanno regalato tutte le copie del mio libro. Questo lo aggiungo per dire che l’eredità di Vanna è questa: nobiltà brusca e senza fronzoli.
(Chandra Livia Candiani)