da “Ascolto il tuo cuore, città” di Alberto Savinio

La freddura ha cattiva stampa. S’intende generalmente per freddura un frizzo a base di bisticcio o doppio senso; e a onor del vero i fredduristi sono per lo più gente poco raccomandabile. il freddurismo è quasi sempre ingenito, perché fredduristi si nasce, come si nasce carambolisti o ventriloqui. Caratteristiche le reazioni alla freddura, e tutte volte a dimostrare, come del resto insegna la parola, che la freddura dà freddo.

Eppure la freddura non va presa alla leggera: essa nasconde uno dei più curiosi misteri della psiche.

Bisogna dire anzitutto che la freddura, non che praticata violentemente dal freddurista “di mestiere”, è anche spesso praticata da uomini superiori: poeti, filosofi, artisti. Molti grandi uomini sono stati fredduristi. Non è chi non conosca le innumerevoli freddure di Shakespeare. Fredduristi egualmente erano Goethe e Vittor Hugo. Domandarono un giorno a Vittor Hugo di fare un brindisi; egli levò il bicchiere e disse: “Jupiter aima Latone, moi j’aime le tonneau”.

Dante fa di più: racchiude una freddura nel suo stesso nome, come insegna Boccaccio nel proemio del suo Comento alla Divina Commedia: “Ma del suo nome resta alcuna cosa da recitare, e pria del suo significato, il quale assai per se medesimo si dimostra; percioché ciascuna persona, la quale con liberale animo dona di quelle cose, le quali egli ha di grazia ricevute da Dio, puote essere meritamente appellato Dante”. […]

da “Potenziali di sviluppo e di apprendimento nelle disabilità intellettive” di Renzo Vianello

Paolo è un ragazzo con X fragile alla fine del primo anno della scuola secondaria di secondo grado. La sua insegnante di sostegno ha cercato fin dai primi giorni di scuola di insegnargli a leggere. È convinta che Paolo abbia le basi cognitive per imparare a leggere e a scrivere, dato che le è stato detto che la sua età mentale è di circa 5 anni. Gli ha quindi proposto quanto di solito si propone ai bambini di prima primaria. Risultato: Paolo non ha imparato a leggere ed è sempre più “svogliato”. Quello era il decimo anno consecutivo in cui un docente di sostegno cercava di insegnargli a leggere senza riuscirci. L’insegnante non si è sufficientemente chiesta cosa Paolo desiderasse maggiormente, come si proiettasse nel suo futuro (quale lavoro avrebbe voluto fare, ad esempio), che cosa gli desse al momento benessere, quali fossero i suoi interessi. Se lo avesse fatto, forse avrebbe trovato proposte didattiche diverse… forse avrebbe anche provato a fargli leggere qualcosa, ma del tutto coerente con le scelte di vita di Paolo.

Seguii l’amica dietro la sua casa…

Seguii l’amica dietro la sua casa;

dove a sprofondo la valle arrivava

giù fino ai margini dell’autostrada;

.

ci inoltrammo nell’erba che più rada

ai piedi tutto il sogno disvelava:

l’amica mi indicò, chiuso da piccole

.

pietre arancioni, un altrettanto piccolo

mare. Mi disse: guarda la marea,

l’onda che sale.

.

E rimanemmo lì. “In contemplazione,”

scherzò l’amica. L’acqua alle caviglie.

Più lontano Corviale; il Serpentone.

(Gabriele Galloni, da “L’estate del mondo”, Marco Saya 2019)

A quelli che invocano e ringraziano la Divina Provvidenza…

A quelli che invocano e ringraziano la Divina Provvidenza far notare che c’è una Divina Imprevidenza altrettanto vigile, quella che regola tutti i nostri errori, gli scontri ferroviari, i naufragi, i terremoti, le stragi degli innocenti, la follia infantile, la peste, le grandi e piccole catastrofi. Il Bene e il Male si equilibrano nel tempo, secondo la legge dei grandi numeri; o forse non esistono. Esiste un corso delle cose, che non è giudicabile.

(Ennio Flaiano)

Lettera alla madre

«Mater dulcissima, ora scendono le nebbie,
il Naviglio urta confusamente sulle dighe,
gli alberi si gonfiano d’acqua, bruciano di neve;
non sono triste nel Nord: non sono
in pace con me, ma non aspetto
perdono da nessuno, molti mi devono lacrime
da uomo a uomo. So che non stai bene, che vivi
come tutte le madri dei poeti, povera
e giusta nella misura d’amore
per i figli lontani. Oggi sono io
che ti scrivo.» – Finalmente, dirai, due parole
di quel ragazzo che fuggì di notte con un mantello corto
e alcuni versi in tasca. Povero, così pronto di cuore,
lo uccideranno un giorno in qualche luogo. –
«Certo, ricordo, fu da quel grigio scalo
di treni lenti che portavano mandorle e arance,
alla foce dell’Imera, il fiume pieno di gazze,
di sale, d’eucalyptus. Ma ora ti ringrazio,
questo voglio, dell’ironia che hai messo
sul mio labbro, mite come la tua.
Quel sorriso mi ha salvato da pianti e da dolori.
E non importa se ora ho qualche lacrima per te,
per tutti quelli che come te aspettano,
e non sanno che cosa. Ah, gentile morte,
non toccare l’orologio in cucina che batte sopra il muro
tutta la mia infanzia è passata sullo smalto
del suo quadrante, su quei fiori dipinti:
non toccare le mani, il cuore dei vecchi.
Ma forse qualcuno risponde? O morte di pietà,
morte di pudore. Addio, cara, addio, mia dulcissima mater.»

(Salvatore Quasimodo, da http://www.italialibri.net/opere/letteraallamadre.html )