Era dell’Angola e negra la mia trisnonna,
ho trovato l’altro giorno il suo nome dietro
non a una poesia perduta in un cassetto,
ma a un foglio stampato
a luci e a cristalli d’argento
.
È stato suo figlio a scrivere
il suo nome sulla fotografia, come gesto di memoria.
Mi ricordo ancora di lui, vagamente,
io molto piccola e lui quasi cieco,
suonava il violoncello, questo mio bisnonno,
parlava piano e con un ritmo
incerto e delicato
.
Sono scolorite entrambe dal tempo,
la fotografia e la mia trisnonna:
i suoi capelli bianchi ricci
(piccolissimi occhi di uccello tropicale),
una pelle molto liscia che le invidio, io
che ne ho ereditato il nome, ma non la morbidezza
né il colore della pelle
.
Mia figlia avrebbe potuto rivelare
pigmenti trasmessi
da quella donna dolce,
come diceva ancora mia nonna,
ma gli occhi azzurri di mia figlia
sono venuti da nuove impronte
.
Il pigmento lanciato dal tempo
di DNA comune
è arrivato a mia figlia
in uno strato invisibile: in un frutto
impercettibile, una eredità di voce:
musica di kora più che violoncello
in un ritmo europeo
.
Non si estinguono di fatto i vulcani,
prima devono accogliere, in commozione di luce,
le nostre ristampe
tinte dalla musica di eterni filamenti:
uccelli per cui un giorno, copia mai uguale
di tale gloriosa imperfezione
il volo sarà loro ala –
.
(Ana Luísa Amaral)